Nel nostro viaggio di rivoluzione per costruire cultura del benessere non siamo soli. I well-being ambassador di Trainect, persone appassionate del tema, ci accompagnano attivamente nel diffondere i concetti chiave per creare ambienti di lavoro sostenibili.
In questo articolo, Claudia Della Torre, Psicologa e Consulente in tema benessere lavorativo, esplora il concetto di benessere psicologico nel contesto lavorativo, enfatizzando l'importanza di un approccio salutogenico che va oltre la mera assenza di malattie. Mette in luce la necessità di considerare sia le dinamiche individuali sia quelle organizzative nell'edificare un ambiente di lavoro sano, promuovendo la realizzazione personale e l'integrazione sociale.
Definizione di Benessere secondo l'OMS
L'Organizzazione Mondiale della Sanità lo cita definendo la salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un'assenza di malattia o d'infermità” (O.M.S., Costituzione, 22 luglio 1946).
La carta di Ottawa esplicita che “Per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte” (1° Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, 1986).
Le definizioni comunitarie mettono in evidenza che:
la salute non ha a che fare solo con l’assenza di malattia;
il benessere non comprende solo lo stare bene fisico ma anche aspetti di realizzazione personale ed integrazione sociale.
In un approccio sistemico, sono dense di implicazioni le parole di Sergio Boria, psichiatra e psicoterapeuta: “Si tratta di esprimere (in tutto o in parte) la propria radicale unicità/diversità seppur in una dinamica vincolante di interconnessione e co-evoluzione sistemica. Si tratta di rendere possibile l’attivarsi di un percorso di co-implicazione tra il Sé e la Comunità, tra la possibilità di essere autentici e l’appartenenza ad uno o più contesti di vita, elaborando attivamente quelli che sono i vincoli organizzativi di volta in volta diversi in base alla tipologia del contesto, e che canalizzano ed orientano le azioni dei partecipanti all’interno di un range più o meno limitato di possibilità” (Sergio Boria, La complessità della salute e la salute della complessità – Rivista “Ecologia della salute”, ottobre 2022).
Una visione salutogenica e complessa
La traccia che stiamo delineando ci invita a passare da una prospettiva patogenica, che si preoccupa di parlare di salute solo quando questa manca, ad una visione salutogenica, in cui è rilevante occuparci di ciò che ci fa “stare bene”.
Nel mondo mutevole in cui ci troviamo, questo “stare” non ha a che vedere con una condizione stabile e raggiungibile una volta per tutte. E’ più un re-STARE in un processo di continuo cambiamento, trovando/costruendo/allenando le risorse utili.
Inoltre, questo movimento non è mai soltanto individuale poiché è connesso - come in una ragnatela - ai movimenti di altre persone che agiscono in funzione di emozioni e pensieri, in relazione alle regole del contesto (immaginate o esplicite) e alle narrazioni sociali che ciascuno di noi contribuisce a mantenere o modificare con le proprie azioni.
Nei contesti del lavoro tutto questo si traduce nell’esigenza di prendere consapevolezza degli schemi mentali con cui descriviamo la nostra identità professionale e domandarci con costanza:
Che impatto hanno sul nostro modo di agire e sulla relazione coi colleghi?
Come possiamo modificarli per promuovere un contesto di benessere per tutti?
Non si tratta, quindi, di curare nessuno ma di prendersi cura della “casa comune” che è l’ecosistema organizzativo in cui ci muoviamo.
Cosa può fare ciascuno di noi in direzione del benessere?
Il primo passo sta nel comprendere che il nostro benessere si gioca sulla capacità di leggere le situazioni man mano che si sviluppano, modificando le domande che ci facciamo. Per esempio, chiederci “Perché si sta verificando questo?” ci pone in una condizione di riflessione ma difficilmente ci fa passare all’azione, perché una volta identificate le potenziali ‘cause’ sarà facile trovare un responsabile fuori di noi, mantenendo lo status quo. Possiamo, invece, domandarci “Come sto interpretando il mio mondo lavorativo e che cosa sto facendo per mantenere la situazione com’è? Sto tralasciando variabili per me importanti? Cosa posso fare di diverso e che possibilità future si aprono?”.
Dobbiamo anche considerare l’influenza sociale sul nostro modo di pensare e agire, per cui spesso aderiamo implicitamente a processi conoscitivi condivisi, avallati a livello collettivo, senza chiederci che implicazione hanno per noi e per gli altri.
Per esempio, la narrazione della carriera come scalata verticale potrebbe non corrispondere ai nostri bisogni e, in questo caso, è utile chiederci qual è la nostra personale idea di successo, quali priorità abbiamo in un particolare momento di vita e quali percorsi si aprono per noi. Oppure, aderire implicitamente all’idea dell’efficacia lavorativa come operosità continua all’interno di una cultura della performance può portarci a rincorrere il risultato senza badare alla strada che stiamo percorrendo, ignorando i possibili segnali di stress.
A tal proposito l’European Agency for Safety and Health at Work ha evidenziato che la metà delle assenze da lavoro è collegata a stress, ma solo 1/3 del costo dello stress è dovuto alle assenze. Il peggioramento della performance legato allo stress costa 2 volte l’assenza.
In altre parole, ci sentiamo stressati ma “tiriamo avanti” e questo ha dei costi molto alti sia a livello individuale che di business.
E a livello aziendale?
Possiamo abbracciare una visione interdipendente dell’organizzazione, in cui più che “mettere le persone al centro” poniamo come centrale la relazione (tra le persone, e tra l’individuo e l’organizzazione) impegnandoci a:
analizzare le visioni specifiche del benessere in atto nel nostro contesto, tramite survey, focus group, supporti digitali
Scopri l'approccio olistico e le 5 aree del benessere di Trainect nell'articolo "Benessere olistico: le 5 aree del Corporate Wellbeing secondo Trainect".
dare spazio a pratiche di co-costruzione (es. laboratori interni, gestione orizzontale delle carriere), in cui ciascuno possa offrire il proprio contributo, anche in virtù di interessi e bisogni personali fintanto che questi sono coerenti con l'evoluzione desiderata di tutto il sistema;
aggiornare i programmi formativi ed eventualmente inserire altri servizi di supporto (es. coaching, counseling, APP sul benessere, etc.) con un’attenzione particolare a tutte quelle competenze che aiutano i lavoratori ad affrontare la mutevolezza del contesto, ad abbracciare una visione situazionale degli eventi e a gestire le relazioni con la fiducia nelle proprie capacità e nella possibilità di ricevere il supporto dei colleghi quando necessario.
E' fondamentale in questo scenario saper portare avanti un programma di Corporate Wellbeing in modo effice.
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