Alice Manzoni, HR & Wellbeing Specialist di Trainect ha incontrato Matteo Sola, HR Learning & Development Leader in Iliad per parlare di vision organizzativa, nuovi paradigmi e modelli aziendali, trend e impatti sulle organizzazioni aziendali.
Matteo è un esperto di Digital & Agile HR oltre ad essere partner e collaboratore in diverse realtà, tra tutte citiamo Kopernicana, ma anche Talent Garden, realtà per cui ha lavorato tanti anni come People & Culture Manager e Coordinatore Scientifico.
Hai mai sentito parlare di Corporate Wellness? E se sì, all’interno di quali contesti?
Matteo ci dice che il Corporate Wellness, o Benessere Organizzativo, è un tema molto attuale e che sta acquisendo via via importanza sempre maggiore, come d'altronde in questo periodo sta succedendo al Well-being in generale, che sta diventando sempre più centrale nelle aziende e che sta acquisendo diverse sfaccettature.
"La cosa interessante" - continua Matteo - "è notare come, oltre a recuperare centralità e importanza, il tema del Well-being stia diventando sempre più concreto e sofisticato. Qualche anno fa si parlava soprattutto di alcune attività specifiche e se vogliamo anche un po’ riduttive, come il Welfare o alcune piccole iniziative come il portare la mindfullness in azienda. Tutte azioni singole e indipendenti, senza una reale strategia complessiva o obiettivi chiari a guidare le scelte."
Matteo ci spiega che dell'insieme di attività e strategie che chiamiamo Corporate Wellness, si può individuare un carattere fondamentale, comune a tutte le azioni in questo campo: il tema della centralità delle persone e di conseguenza del Caring delle persone stesse (People Caring & Development appunto).
Ma nel pratico come si fa a mettere le persone al centro senza che diventi soltanto uno slogan? Cosa significa veramente? Si chiede Matteo.
"La differenza con qualche anno fa è proprio in questa messa in pratica, in quanto gli esempi sempre maggiori lasciano intravedere un’articolazione concreta di questi valori, con attività, servizi ma soprattutto competenze che le aziende mettono in campo."
Chi dovrebbe essere il primo veicolo di una cultura aziendale legata al benessere e perché? Il/La CEO, l’HR, il management, il dipendente in autonomia, l’azienda come organizzazione oppure magari una figura specifica come lo Chief Happiness Officer?
Per rispondere a questa domanda Matteo parte dal macro concetto di sostenibilità, anch'esso sempre più centrale all'interno dell'organizzazione: sostenibilità del business, dell’impatto ambientale. Ma anche sostenibilità in termini umani: come costruzione di un ambiente di lavoro e cura di una forza lavoro che abbia come conseguenza un turn over basso, un clima aziendale positivo. Che ci siano, dunque, una serie di elementi che non facciano scappare le persone, ma che anzi possano fungere da attrattiva per nuovi talenti.
Ponendoci in questo punto di vista allora risulta evidente che dal lato organizzativo, come veicolo di una cultura legata al benessere, è chiamato in causa prima di tutto l’HR ma non solo. Se andiamo a vedere le ricerche sul perché le persone se ne vanno dalle aziende, tra i principali motivi riscontriamo una cattiva relazione con il proprio manager, una gestione poco efficace del team, relazioni non positive con i colleghi intorno a loro per motivi disparati.
Quindi, ci spiega Matteo, non può essere tutto sulle spalle dell’HR perché risulta abbastanza evidente come ci sia una responsabilità molto ampia anche da parte del management, in tutte le aree dell’azienda.
"L’attivazione di soluzioni legate al benessere deve necessariamente venire di pari passo ad un cambiamento culturale, di mindset e di competenze e questo molto spesso significa dare gli strumenti anche al manager per capire come mettere realmente la persona al centro."
Una volta coinvolto il management, il passo successivo potrebbe essere quello di coinvolgere le persone stesse: dare loro gli strumenti per gestire al meglio il proprio lavoro, gestire i propri equilibri psico-fisici, auto organizzarsi e gestire le attività motorie, il supporto psicologico, le iniziative di coinvolgimento a distanza. Ossia tutte quelle attività e tutti quei servizi che possono portare la persona a diventare sempre più autonoma e a restituirle parte della responsabilità e, di conseguenza, della centralità (Self Management e People Care).
Per questo, conclude Matteo, un'altra figura coinvolta potrebbe essere l'Innovation Manager, la figura che si occupa di facilitare la Digital Transformation, proprio per dare un supporto a 360 gradi su tutte le aree di impatto.
Secondo la tua esperienza quali sono i principali e più comuni ostacoli allo sviluppo di una cultura volta al benessere delle proprie persone e perché?
Matteo ci spiega che l'ostacolo principale, come sempre quando parliamo di cambiamento e sviluppo organizzativo in un contesto con un assetto principalmente gerarchico e top-down, come lo sono la maggior parte delle aziende ancora oggi, è il mancato supporto da parte della testa dell’organizzazione; se manca quello è probabile che il processo non si avvii nemmeno.
Successivamente può essere molto complesso far capire alle persone la reale rilevanza di certi argomenti. Si ha bisogno di un management proattivo nella promozione delle attività o delle soluzioni stesse. Dunque, anche se c’è l’ostacolo del top management è praticamente impossibile che il progetto parta.
Inoltre può esserci un ostacolo in termini di scarse risorse economiche, di tempo, di persone o di competenze e anche questo rappresenta un impedimento. Soprattutto quando le cose non vanno per il meglio: la prima cosa che si taglia sono sempre le risorse allocate sulle persone.
"Anche in questo caso risulta evidente come il cambio di mindset debba essere preliminare a qualsiasi cambiamento. Altrimenti si rischia di fare le cose solo quando la situazione è ottimale, ma sarebbe estremamente limitante perché molto spesso è proprio quando le aziende sono in difficoltà che può scattare quella scintilla che accende la volontà del cambiamento."
L'ultimo ostacolo allo sviluppo di una cultura legata al benessere che Matteo individua è la resistenza o in alcuni casi l’inadeguatezza di una certa parte di HR ancora bloccati in competenze del proprio ruolo obsolete, legate a mansioni amministrative, gestionali e poco strategiche e di visione. Spesso gli HR hanno buone idee, ma non hanno ancora gli strumenti per metterle a terra.
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Il ruolo dell’HR, quindi, diventerà sempre più strategico, sempre più attento e co-responsabile delle decisioni del business. Probabilmente è un cambiamento che va di pari passo con il trend sempre più diffuso del People Caring?
Le persone sono sempre più consapevoli di cosa è meglio per loro, cosa vogliono per stare bene sul lavoro e cosa è loro diritto per ottenerlo: questo è un discorso che come ci spiega Matteo, si interseca con il dibattito attuale sulla presunta ondata di Grandi Dimissioni, un fenomeno che andrà sicuramente studiato in maniera più approfondita per capirne le reali motivazioni e soprattutto dimensioni. Quello che è certo però è che la pandemia ha smosso il contesto e le persone, lasciando emergere l’inadeguatezza di alcune strutture organizzative.
"Perché - continua Matteo - tante persone per la prima volta si sono fermate a riflettere sul loro ruolo e posizione lavorativa, per scoprire a volte che non corrispondeva alle loro aspirazioni, chi da un punto di vista economico, chi aspirazionale. Per questo si stanno esplorando altre strade."
Sembra che le persone comincino ad avere aspettative e a chiedere cose diverse, avere delle pretese (in senso positivo), non dare più per scontato che il lavoro sia sinonimo di fatica e sacrificio (idea generata da una certa visione del mondo che non deve essere necessariamente l’unica). Le nuove generazioni tendono a non accettare più queste condizioni e anche nelle generazioni precedenti si riscontra un cambiamento di aspettative.
Matteo crede che a tendere questa situazione obbligherà le organizzazioni a dare una scala diversa alle priorità e a rimettere al centro una serie di prerogative delle persone.
"Non è più sufficiente pensare di fare business mantenendo bassi il costi del personale perché così è più semplice raggiungere il bilancio positivo. Nel medio e lungo periodo non è questa soluzione che permetterà di fare il salto di qualità e di avere un brand e un'azienda forti e attrattivi."
Sul tuo profilo Linkedin tra le esperienze e attività di cui ti occupi si legge: “Holacracy and Self Management” in Kopernicana. Cosa puoi dirci su questi nuovi modelli organizzativi di cui si inizia a sentir parlare? E come si collegano con quanto detto fino ad ora?
"Il Self Management - ci spiega Matteo - è un argomento che fino a poco tempo fa era molto di nicchia, ma che ora sta crescendo e sta diventando sempre più interessante per le aziende. Fondamentalmente per Self Management intendiamo la capacità delle persone o dei team di auto organizzarsi e, quindi, di prescindere sempre di più dalla figura manageriale tradizionalmente intesa."
Il modello più famoso dell’implementazione del Self Management su larga scala è l'Holacracy, un sistema organizzativo inventato da Brian Robertson, che ha costruito un tipo di organizzazione che fa completamente a meno della figura del manager e redistribuisce tutto secondo questa visione di responsabilità espansa.
"Come primo step - ci spiega Matteo - ovviamente non si va ad abolire immediatamente la linea del management ma si cerca di abilitare le persone con strumenti e metodologie che le facciano diventare effettivamente protagoniste, sempre più responsabili e, dunque, sempre più in grado di decidere e dare forma all’organizzazione così come ne sentono il bisogno in base ad un obiettivo comune."
"La grande trasformazione è questa: riconsegnare la strategia e la capacità di impatto in mano alle persone, partendo da una cultura forte e da un obiettivo di fondo che unisce persone e azienda."
Su Linkedin fai molta divulgazione sui tema dell’Agile & HR, OKR e Digital Transformation. Quale domanda vorresti ti fosse fatta, ma che non ti fanno mai? Oppure, qual è un argomento che ti piacerebbe trattare che esula da quelli citati?
"Mi piacerebbe parlare di più di sviluppo in senso lato, perché molte mie energie oggi sono focalizzate su come far crescere le persone in azienda, e soprattutto in contesti in cui a livello di numeriche si inizia ad essere grandi, ma a livello di struttura si è molto lean, agile e poco gerarchici. "
Dal punto di vista del business e dell'operativo, ci racconta Matteo, è una situazione molto positiva ma che ha un contraltare: se come spesso accade, le persone considerano la carriera in modo tradizionale (la scalata verso ruoli manageriali e la gestione di un numero sempre maggiore di persone), questo tipo di organizzazione non può e non vuole più dare questa metodologia di crescita.
Questo significa che dobbiamo inventare nuovi percorsi e nuovi strumenti: dobbiamo smettere di parlare di carriera lineare, iniziare a cercare e sperimentare per trovare l’alternativa. Per questo Matteo trova centrale la capacità di un’organizzazione di riuscire a promuovere iniziative che abbiano impatto sul benessere delle persone dal punto di vista della crescita e che vadano oltre gli schemi professionali tradizionali.
Secondo te cosa significa Corporate Wellness e quali sono i suoi elementi imprescindibili?
"Il Corporate Wellness è la strategia, il modello che creiamo in azienda per sostenere un approccio di People Caring a 360 gradi, che vada ad abilitare le persone in tutti gli aspetti che per loro sono rilevanti all'interno di quella che è l’esperienza di lavoro. Cosa c’è dentro a questa strategia, deve cambiare da azienda ad azienda."
Grazie mille Matteo, per l'esperienza e i consigli che hai voluto condividere con noi.
A presto!
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