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Lavorare tanto e male: la sindrome dell'ape indaffarata

Nel nostro viaggio di rivoluzione per costruire cultura del benessere non siamo soli. I well-being ambassador di Trainect, persone appassionate del tema, ci accompagnano attivamente nel diffondere i concetti chiave per creare ambienti di lavoro sostenibili.

In questo articolo, Marika Lupi, HR e well-being ambassador di Trainect, ci fa riflettere sul tema dell'iper-produttività e della cultura della performance, con una metafora potentissima, quella dell'ape indaffarata.


"Feeling as a busy been", perchè la sindrome dell'ape indaffarata produce dipendenza?

Eccoci qua, in fila indiana verso le nostre postazioni di lavoro, pinne ed occhiali appese al chiodo restano nelle foto estive lasciando spazio a zaino, pc, meeting e ritmo scolastico. Ri-indossiamo gli abiti da trasformisti lavoratori, genitori, sportivi, creativi appassionati e viveur. In questo carosello di doveri, impegni e responsabilità, spesso la nostra identità professionale coincide con quella personale e la ragione è presto detta: perché trascorriamo molto tempo a lavoro che delinea e potenzia la nostra efficacia personale ma soprattutto è (spoiler alert!!!) strumento per vivere e sostentarci.

Portiamo nel nostro zainetto oltre snack salutari e cuffiette, i bias della società capitalista in base ai quali è difficile dissociare il concetto di lavoro da quello di produttività e sacrificio, figuriamoci sostituirlo tout court con quello di lavoro-riposo-maggior efficienza.


Come si può cambiare questo paradigma dominante?

Eppure questo è uno dei purpose di Trainect Wellbeing Revolution che si potrebbe immaginare coraggiosa come "La libertà che guida il popolo" di Delacroix nel diffondere la psicologia e la cultura del benessere; su questa falsariga appare dunque intraprendente la società internazionale di consulenza manageriale "Mckinsey & Company" che ha fornito un report relativo ai costi aziendali sostenendo quanto un dipendente riposato possa essere più performante, affermando inoltre ironicamente che "chi dorme piglia pesci e acquista la leadership": un azzardo? O una visione non miope di quanto il riposo anche e soprattutto a lavoro, unitamente ad orari flessibili, possa essere la svolta per un worklife-balance decisamente più sano e sostenibile?

Fornisco a supporto i dati dell'Istituto Superiore della Sanità, il quale ha stimato che in Italia il deficit di sonno fa perdere la produttività alle aziende fino a 5 miliardi di euro l'anno, una percentuale che corrisponde allo 0,5% del Pil.


E allora come destigmatizzare la cultura del riposo senza passare per fannulloni?

In maniera preventiva e continuativa: "make sure to rest, before you really need to", lavorando per priorità, agevolando lo smart working, incrementando le pause, provando ad adottare soluzioni come "power nap o nap room" attraverso cui favorire il riposo, preferibilmente tra le 13 e le 15 e di una durata variabile tra i 20 e i 30 minuti: è stato dimostrato infatti, che il power-nap può costituire una sorta di booster di energia migliorando le attività dell'emisfero destro e la creatività.

A fare da contraltare a tale contesto si insinuano il workaholism, la concezione lavorocentrica della vita, il burn out e di conseguenza, il muoversi come equilibristi ubriachi tra attività lavorativa, passioni e doveri, dando vita a stuntman multitasking. Termine quest'ultimo che deriva dall'informatica: ma noi nn siamo laptop, non funzioniamo, non siamo macchine, non produciamo; ciò che ci caratterizza è l 'intenzionalità, pensare, scegliere, decidere.


Lavorare in urgenza è una trappola, perchè continuiamo a farlo?

Lavorare in "urgenza" è una trappola, un'illusione, non tutto può essere urgente, non tutto può essere prioritario. Prioritizzare rende più consapevoli e migliora l'efficienza, tuttavia, ciò è possibile quando esiste alla base una cultura del benessere aziendale. L'azienda non è un'entità generica ma una somma di individui, quindi è necessario che quel CEO, titolare, responsabile applichi la lente della "People center" e solo mettendo davvero le persone al centro con i loro bisogni, comprendendo la risonanza emotiva che il giusto ritmo lavorativo ha nelle loro vite, si attuerà la vera trasformazione, passo dopo passo.

Ed eccoci allora al giro di boa che porta con sé presa di coscienza e mea culpa: siamo sempre pronti ad accogliere neologismi inglesi per rendere più sofisticata e accativante la qualunque iniziativa..dimostriamoci altrettanto accoglienti verso quelle iniziative che potrebbero sembrare strane sì, ma forse necessarie, proviamo ad accogliere quelle soluzioni "coraggiose" che caratterizzano aziende leader come Google, Zappos, Cisco, P&G...iniziando certamente dal piccolo perché l'ispirazione a certi archetipi lavorativi fa tutta la differenza del mondo.


Quale è il punto di partenza per questo cambiamento?

Ripristiniamo le priorità: trattare il lavoro come uno strumento per comprare il tempo libero, non è meno nobile, ma forse più sano. Lavorare con, e per chi ha piena cognizione di questa verità, non è fortuna, bensì la nuova rivoluzione, di cui Delacroix (davvero!) ne farebbe uno stendardo e magari, quella Libertà che corre frettolosa, la dipingerebbe più rilassata.

È curiosa l'espressione inglese "Busy as a been" indaffarata come un'ape...con tutto il rispetto per l'ecosistema, a me le api sono sempre state poco simpatiche, tuttavia le riconosco come fondatrici del lavoro di squadra, dell'organizzazione e del focus sugli obiettivi. Prendiamo in prestito da loro questi principi, perchè un buon lavoro corale ci rende meno indaffarati ma più presenti e attivi nel nostro umano ecosistema.


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